Della mia infanzia non ho molti ricordi.
Ricordo che ero con mio fratello, quello sì, e che eravamo spaventati. Ricordo di essere stato preso da mani gentili e messo in un box, freddo e troppo grande per noi, con solo un palletta e qualche coperta logora per riposare.
Ricordo anche che, a un certo punto, mio fratello è andato via. E io sono rimasto solo.
Da quel momento in poi, ho memoria solo della paura.
Mi ricordo di aver avuto dei compagni di box, più adulti di me, più prepotenti, coi quali discutevo continuamente per avere il diritto di mangiare, di riposare o anche solo di spostarmi senza essere redarguito.
Poi ricordo l’ora d’aria, nel cortile, in cui per me anche un pezzo di tubo di gomma diventava un gioco. Eravamo molti, tutti insieme, e per noi anche poco era tanto.
Ho avuto fame.
Il custode ogni tanto spariva per giorni e nessuno veniva a riempirci le ciotole.
È per questo che un paio di volte abbiamo litigato, con qualcuno dei miei compagni di cella.
La prima volta mi sono fatto male a un occhio.
Una brutta ferita, mi faceva molto male. La signora gentile che veniva di tanto in tanto ad occuparsi di me, di noi, aveva paura che potessi perderlo.
Mi ricordo il dolore, e che non riuscivo a vedere niente da quell’occhio. Ma non mi sono mai lamentato.
Io sono fatto così.
La seconda volta che abbiamo litigato di nuovo non ricordo neanche il perché. Questa volta mi hanno staccato un pezzo di orecchio, ma io ho risposto a tono.
L’altro si è fatto male a una zampa. Molto male, dicevano.
Hanno pensato fosse tutta colpa mia.
Forse perché sono nero, o perché sono un mix Pit Bull. Fatto sta che il custode mi ha preso per il collo, con un corda che mi ha soffocato tanto, e mi ha trascinato via, in un box isolato. Sono rimasto solo in quella gabbia per tanti mesi, eppure ero poco più che un cucciolo.
Ricordo anche qualche botta, non so con cosa mi abbia picchiato, ma credo fosse un bastone molto grosso.
Ho avuto tanta paura. Mi faceva male l’orecchio, ma anche il collo e la schiena non scherzavano.
Ricordo anche che avevo tanto freddo d’inverno e quando pioveva. In quei box l’acqua entrava da tutte le parti e, d’inverno, a volte nevicava.
Non c’era calore per me. Neanche per i miei compagni.
Ero solo, in quel box isolato dal resto del mondo.
Non credo di aver mai visto il mondo esterno finché la signora con le mani gentili mi ha portato via da lì, una mattina. Mi ha caricato in macchina e mi ha portato in un cortile, casa sua, dove ho conosciuto altre persone e altri due cani.
Avevo tanta paura, ma tanta. Così tanta da non essere in grado neanche di respirare bene.
Dicono avessi una smorfia sul viso, io ero immobile e terrorizzato.
Poco dopo, forse un mese o poco più, la signora dalle mani gentili mi ha caricato di nuovo in macchina.
Nel parcheggio di un hotel ho rivisto la ragazza con l’altro cane, quella che avevo incontrato nel cortile.
Abbiamo cambiato macchina e, insieme all’altro cane, siamo arrivati in un posto chiamato città.
La città è brutta, ve lo dico.
Ci sono tanti rumori, tante persone.
Io nella mia vita non avevo mai visto così tante persone. Anzi, in realtà ne avevo viste due, forse tre in totale. Non avevo mai visto una macchina, una casa, un androne, un pavimento che non fosse asfalto o cemento e no, neanche l’erba.
Ci ho messo un po’ a capire che per entrare in casa avrei dovuto varcare la soglia. Non avevo mai varcato una soglia così importante. Dentro c’erano tanti odori, tante cose che non avevo mai visto, e altri due cani.
La cosa che mi è piaciuta più di tutte è stato il tappeto.
Non avevo mai visto neanche quello, ma ricordo che mi è piaciuto subito.
Ho dovuto combattere le mie paure più profonde, da quando sono arrivato a Casa.
Le persone, innanzi tutto. Quelle mi spaventano moltissimo, soprattutto se mi arrivano alle spalle all’improvviso.
Le macchine e il caos, il rumore della città. La ragazza è stata brava, ma non sempre e non subito, ad aiutarmi.
Pretendeva che io mi abituassi. Così, come se niente fosse.
Ho avuto paura di quello che mi chiedeva di fare.
Ha capito, a un certo punto, e insieme siamo riusciti a fare tanto.
Ma paura ce l’ho avuta lo stesso.
Nonostante siano tre anni e mezzo che sono qui, a Casa, con gli altri cani e i gatti e le mie persone, ho ancora paura.
A volte ne ho di più, a volte ne ho di meno. A volte mi ritornano in mente dei brutti ricordi, soprattutto quando vedo qualcuno che mi ricorda il custode del canile, e allora la paura è tanta, ma tanta, che cerco di scappare.
Anche la strada mi fa ancora molta paura. La ragazza è brava, non mi ci porta tanto.
Devo abituarmi un po’, dice, perché è importante.
Io ci provo.
Ma non è facile per me.
Ci sono dei momenti in cui la paura mi stringe forte, quando sono in strada, come quando ero solo in canile e sentivo la voce del custode.
In quei momenti non riesco a ragionare bene.
Il mondo mi si stringe intorno e io cerco un posto per nascondermi. Tra le macchine, dietro un muro, lontano dalle persone. Il cuore mi batte forte e non riesco a respirare bene.
Una volta era peggio, lo so. Anche la ragazza lo dice sempre.
Ma io ho paura lo stesso.
Quando sono a Casa sto bene. Lì non ho paura.
Ho una coperta tutta mia quando fa freddo, cibo buono che non devo dividere, due cani che sono il mio nuovo gruppo e due persone che mi amano tanto.
E io amo tutti loro. Tutti, incondizionatamente.
E lo dimostro sempre.
Sto bene anche quando sono al parco, o in campagna, sto bene con i miei amici. I Cugini, si chiamano. Anzi, i Cugini e gli Zii. Li amo moltissimo e non vedo l’ora di incontrarli.
Sto bene con loro e con la mia Famiglia.
Eppure ho paura.
Ho paura di perdere la ragazza, quando si allontana, e ho paura di restare di nuovo solo.
Ho paura delle persone.
Ho paura delle macchine.
Ho paura dei posti affollati.
Ho paura dei rumori improvvisi.
Sempre meno, divento sempre più coraggioso.
Ma la paura è una brutta bestia.
Lo so che a volte non è facile starmi accanto, ma non è colpa mia.
Io ce la sto mettendo tutta.
Lo so che a volte rendo la vita difficile alla ragazza e agli altri, ma lo faccio solo perché anche la mia, di vita, in certi momenti non è molto facile.
Io sono stato fortunato, ho ricevuto sostegno, ascolto e rispetto.
Spero che anche tutti gli altri, che hanno paura come me, possano essere ascoltati e rispettati. Perché la paura non è una cosa da rifiutare né una cosa di cui vergognarsi. Non è una cosa che si può sopprimere o soffocare, ignorare o “curare”.
Sparisce lentamente, ma sparisce, con l’accoglienza, con il sostegno e la comprensione.
Quando vi diciamo che abbiamo paura, non vi arrabbiate.
Ascoltateci e fateci capire, sempre, che siete dalla nostra parte.
Franco