Lo spunto per le mie riflessioni di oggi viene dalla notizia pubblicata qualche giorno fa sui giornali locali che la foresta di mangrovie, già patrimonio dell’UNESCO, e che condividiamo con la vicina India potrebbe essere dichiarata zona a rischio di estinzione. Come se non fosse bastato aver quasi messo a repentaglio la sopravvivenza della tigre del Bengala che nella foresta di mangrovie ha il suo habitat naturale, ce la stiamo mettendo tutta per rovinare e condannare all’estinzione anche questo lembo di terra stupendo e unico. Basti pensare che l’India ha convinto il Bangladesh, il quale di fronte a qualsiasi richiesta dell’India si inginocchia sempre, a costruire la prima centrale a carbone a soli 14 km dalla foresta, progetto che in India era già stato bloccato dagli ambientalisti per le ovvie ripercussioni e rischi che avrebbe sull’ambiente circostante. Abusi, avidità e corruzione a scapito di siti che per legge sono protetti da convenzioni internazionali. Luoghi che, grazie alla loro bellezza e unicità, potrebbero avere un peso non indifferente per lo sviluppo dell’industria del turismo del Bangladesh.
Secondo la Banca Mondiale, il Bangladesh è la destinazione meno turistica al mondo.
In base alle loro statistiche, l’anno scorso sono entrati circa 150.000 stranieri in Bangladesh con visto turistico mentre 1 milione e mezzo di bengalesi hanno scelto mete straniere per le loro vacanze, soprattutto Thailandia, Malaysia, Maldive ma anche tanto Bhutan e Nepal perchè piu’ economici.
E questo ve lo posso confermare io, non solo le statistiche della Banca Mondiale. Mai visto o conosciuto un turista straniero che sia venuto appositamente in Bangladesh per turismo. Gli stranieri vengono per lavoro oppure sono di passaggio verso mete piu’ popolari che comprendono, oltre a quelle già citate, anche l’immensa e bellissima India, Vietnam e Sri Lanka. E poi perche il Bengalese dovrebbe scegliere un resort locale quando con gli stessi soldi può andare in un resort all’estero? Un soggiorno di due notti per quattro persone al Mermaid Beach Resort (www.mermaidbeachresort.net) nei pressi di Cox’s Bazar, uno dei migliori della zona, può arrivare a costare 1200 dollari. Con gli stessi soldi, queste quattro persone possono soggiornare in Bhutan, Nepal, Thailandia, Vietnam. Basta aggiungere altri 1000 dollari e passano due notti e tre giorni favolosi alle Maldive.
Qualche anno fa l’ente per il turismo del Bangladesh aveva lanciato una campagna pubblicitaria intitolata ‘Beautiful Bangladesh’, composta da opuscoli, un sito web dedicato e un video, che ho allegato, il tutto tradotto in varie lingue tra cui l’italiano, di cui me ne ero occupata io; un tentativo tutto sommato molto bello per cercare di dare una spinta all’industria del turismo e attirare i turisti stranieri. Forse all’epoca, credo fosse il 2010 o 2011, sono riusciti ad attirare qualcuno . Ma quei pochi che sono arrivati cosa hanno visto? Che ricordi si sono portati appresso dei luoghi visitati? Spazzatura un pò ovunque, il fetore di urina agli angoli delle strade o nei bagni a cominciare da quello dell’aeroporto, vandalismo dei monumenti e degli antichi palazzi, vedi per esempio le condizioni pietose in cui versano i seppur bellissimi palazzi della parte vecchia della città di Dhaka, sputi a destra e a manca e un senso generale di poca igiene.
Prendiamo in considerazione il posto turistico per eccellenza del Bangladesh, Cox’s Bazar, la piccola città da cui parte la spiaggia ininterrotta più lunga al mondo, un vanto del Bangladesh Bene, lasciatemi che ve la descrivi. Dista 7/8 ore di autobus da Dhaka, circa due di aereo. E’ diventata con gli anni un’altra piccola Dhaka: palazzine su palazzine di mini-appartamenti per le vacanze, le une appiccicate alle altre; decine e decine di alberghi ma di decenti forse due o tre. Disboscamento scellerato per fare spazio ad altro cemento. Vita notturna zero. L’unico svago è cenare nei ristoranti degli alberghi e poi tutti a nanna per affrontare un’altra giornata di selfie, con i piedi in acqua, fino alle caviglie per le donne, per gli uomini un po’ di piu, in una spiaggia sovraffollata. Ci andai la prima volta vent’anni fa e mi presi un colpo di sole perchè pensavo di poter stare in spiaggia a prendere il sole come a Jesolo; ci ritornai dieci anni fa con le bimbe. Adesso è fuori da qualsiasi nostra meta turistica e declino qualsiasi invito che mi porti anche solo li vicino. Questa famosa spiaggia più lunga del mondo (sono 120 km) è talmente lunga che non sai cosa fartene. L’unico posto raggiungibile sempre con mezzi sgangherati si chiama Inani Beach e dista circa 35 km da Cox’s Bazar, che stanno riempiendo, cosi mi hanno detto chi ci è stato di recente, di alberghi che ne distruggono tutta la bellezza. Ci si arriva partendo da Cox’s Bazar e percorrendo la famosa Marine Drive, la strada che il governo ha trasformato di recente da un piccolo viottolo di campagna ad una strada normale ad una corsia e mezza cosi che sei costretto se sopraggiunge un’altra macchina in direzione opposta, a fermarti, se ci tiene alla vita, prendere bene le misure e passare. Si vantano che la spiaggia sia incontaminata. Certo, perchè non ci va nessuno o meglio non ci puoi andare perchè anche se percorri questa Marine Drive dall’inizio alla fine, cosa che nessuno fa, non hai posti dove fermarti, lasciare la macchina e tentare di avvicinarti alla spiaggia. Il mare di Cox’s Bazar non è come quello di Rimini o di Cefalu’ o della costa Smeralda. E’ oceano cupo, dalle acque torbide perchè il fondo è sabbioso, subito profondo e pericoloso. Non è consigliato per farci una bella nuotata. A ma tanto i bengalesi mica nuotano: si immergono fino alle caviglie, tutti vestiti e si spruzzano l’acqua a vicenda. Se vuoi farti una nuotata devi affidarti alla piscina dell’albergo, sempre che sia pulita.
Sarebbe più sensato che il Bangladesh pensasse a come attirare i turisti locali più che gli stranieri ed educarli a comportarsi come si deve quando si trovano di fronte a luoghi di qualche rilevanza paesaggistica, culturale o storica. Quando questi luoghi verranno mantenuti come si deve forse si potrà pensare di attirare il turismo internazionale. Non servono leggi particolari, basta rispettare quelle che già ci sono e tanta buona educazione.
Uno dei maggiori ostacoli che impedisce al settore turistico di raggiungere livelli vantaggiosi per il paese è la mancanza di infrastrutture ovvero strade e mezzi di trasporto. Serve una rete di collegamenti fra le maggiori città e luoghi di valore turistico più estesa ma soprattuto praticabile e sicura. Le attrazioni turistiche ci sono, i paesaggi naturali in buona parte del Bangladesh ti lasciano a bocca aperta; il calore, la spontaneità delle persone nei villaggi, e lo dico da straniera, sono meravigliosi.
Il problema è come arrivarci e una volta li dove stare.
Certo ci sono gli autobus che garantiscono i collegamenti fra le maggiori città da sud a nord e da est a ovest. Ma io non ci salirei neanche si mi pagassero un miilione di dollari. A parte il fatto che sono brutti, sgangherati, sporchi, scomodi e polverosi, queste proiettili vaganti sono pericolosissimi vuoi per la scarsa manutenzione vuoi perchè sono guidati da scellerati senza patente, sprovveduti e ignoranti nel senso proprio che ignorano anche le più basilari norme di guida sicura. A tutto questo si aggiungono sorpassi azzardati anche in curva e senza visibilità e un continuo strombazzare di clackson. Un viaggio letteralmente nauseabondo, sgradevole e frastornante.
Vuoi comperare il biglietto del treno o del traghetto? Il problema non è ottenerlo ma pensare chi mandare al posto tuo a fare la fila per ore. Vuoi un posto decente sul traghetto? Devi trovare sull’agenda il numero di telefono di quel lontano tuo cugino che conosce il tizio che lavora all’ufficio prenotazioni o che è amico del vice sindaco. Si trova sempre qualcuno disposto per pochi soldi a farlo, anzi ci sono proprio quelli che di mestiere fanno proprio questo.
Ma non dovrebbe essere cosi.
Se è una seccatura per il Bengalese, immaginatevi solo cosa possa significare per uno straniero sprovveduto che a questo non è abituato.
Vi lascio al video “Beautiful Bangladesh” ma mentre lo guardate pensate a queste due o tre cosette che vi ho detto.
Probabilmente non avrò scoraggiato i più avventurosi fra di voi ma sicuramente avrò confermato i timori della maggioranza a non mettere mai piede in questo paese.
Una curiosità. La ragazza alla fine, davanti all’aeroporto, dice: Jai; l’uomo le risponde: Jai na, ashi.
Jai significa vado, è una forma di commiato molto frequente ma quello che in realtà si dovrebbe dire al momento di salutare e andare via è ashi che vuol dire letteralmente vado e torno. E nel verbe tornare sta tutta la differenza. E’ una forma di augurio non solo di rivedere presto la persona che stai salutando ma che soprattutto non ti succeda niente mentre sei in viaggio. I bengalesi sono molto superstiziosi e a queste cose ci tengono. Quindi se qualcuno vi saluta con un bel Jai, forse non gli avete fatto una gran bella impressione.